L'occhio di Giano

 

 

Bisogna ammettere che la Visione Globale nello spazio e nel tempo sembra incorporare l'ottica bi-prospettica dell'antico dio del tempo Giano, detto bicefalo perché rivolto contemporaneamente al passato e al futuro. Tuttavia, nella Visione Globale si attua pure una compressione temporale coerente con l'implosione tempo-spaziale che, come scrisse McLuhan, si verifica con la crescente rapidità dei mezzi di trasporto e l’istantaneità informatica a livello globale. Pertanto si può parlare di una compressione dei tempi storici, molto simile all’accorciarsi dei tempi necessari per comunicare con ogni parte del mondo, quindi come un aspetto dell’evoluzione culturale verso il "presente allargato" che avanza con il tempo reale dei mezzi di informazione planetari. Indubbiamente si tratta dello sviluppo di un nuovo livello di coscienza tempo-spaziale, ma è sorprendentemente simile all’immaginario antico espresso in un testo biblico: “Mille anni sono per Te come un giorno”; mentre nei testi vedici dell'India sono perfino 4 bilioni di anni, ciò che trascorre tra la creazione e la distruzione dell’universo, che corrisponde ad un giorno di Brahma (Brahama Kalpa). Dunque, concettualmente la relatività della percezione temporale non è affatto nuova, quello che è inedito è l’odierno sostegno tecnologico per una concreta estensione conoscitiva nello spazio e nel tempo. In questa nuova visione di compressione temporale, per fare un esempio, lo scioglimento dei ghiacciai causato dal riscaldamento atmosferico appare come ultima fase dello scioglimento dell'era glaciale, che ebbe inizio 10 mila anni fa con il sorgere dell'attuale era solare; come la contemporanea distruzione delle ultime comunità arcaiche rappresenta la fine della forma sociale che fu in vigore durante questa era glaciale, mentre la sua distruzione iniziò con l'invenzione storica del sistema città-stato che gradualmente venne a dominare il mondo distruggendo i primi. È con questa stessa prospettiva spazio-temporale della Visione Globale che la Global Complexity Art compone l'immagine dinamica dell'umanità, raccogliendo l’eredità selezionata del passato, per dipingere l'affresco virtuale che ritrae l'avvento del "uomo planetario" e del suo habitat rinnovato a misura dell'uomo e della natura. Anche questa ampia immagine temporale non è nuova in se, infatti, ha degli antecedenti nel rinascimentale ciclo pittorico della storia del mondo.

L'occhio di Giano

Generalmente gli artisti-scienziati dell’umanesimo dipinsero su tela singoli episodi della “storia sacra”, con l’eccezione di Michelangelo che negli affreschi della Cappella Sistina a Roma dipinse gran parte dell’intero repertorio iconologico, di una storia globale certo nei termini mitici e religiosi allora in uso. In ogni modo il ciclo completo dell’iconologia, che da immagine alle Scritture, comincia dalla Creazione del cosmo, della Terra e dell’uomo, seguito dalle vicende antiche fino alla Crocifissione, che segna l'epoca cristiana, mentre per il futuro prefigura la “storia della salvezza” che si conclude con la Conciliazione Universale nella Parusia, il Secondo Avvento di Cristo detto “Secondo Adamo”, mentre discende la Gerusalemme Celeste collocata al centro dall’Eden restaurato, il tutto seguito dal giudizio universale alla “fine dei tempi”. In questo spettacolare immaginario temporale, realmente complesso nel suo simbolismo, si condensa nientedimeno che la matrice della moderna cultura europea e del suo concetto di progresso legato al tempo. Lo stesso ciclo temporale sottende anche alla cosiddetta “utopia rinascimentale” che si proietta in un futuro umanesimo globale, di cui la città di Firenze, che fu l’alambicco del fervore artistico del Rinascimento, venne configurata come anticipazione simbolica, ossia modello storico del Nuovo Mondo da realizzare. Con queste premesse si potrebbe arguire che la prospettiva spaziale, con le rette parallele convergenti nel punto focale all’infinito, allora inventata dal Brunelleschi come strumento di acquisizione razionale dello spazio, fosse concettualmente sovrapposta alla doppia prospettiva temporale di Giano bicefalo, che osserva contemporaneamente i punti di fuga opposti del passato e del futuro. Tanto è vero che la concezione del tempo, espresso in termini tra il mitico e il razionale, ebbe una primaria importanza nel Rinascimento tramite la rielaborazione di nozioni dell’Antichità. Basilare è il mito di Saturno, che i greci chiamarono Crono, il dio del tempo circolare che fu padre di tutti gli dei e creatore della primordiale “Età dell’Oro”, simile al Paradiso Terrestre giudaico-cristiano che, secondo S. Tommaso, corrisponde al Primo Evo dell’umanità. A quest’epoca aurea si attribuì l’origine della “Sezione Aurea”, ossia i particolari rapporti proporzionali che si correlano tanto alle orbite planetarie quanto alla scala musicale e ai corrispondenti rapporti spaziali, quest’ultimi utilizzati per definire gli schemi strutturali di tutte le opere artistiche ed architettoniche, nell’antica Grecia come nel Rinascimento. Con le “proporzioni auree”, legati al dio del tempo Crono, fu creato anche l’intero repertorio artistico architettonico di Firenze, la città, come va sottolineato, che si conclamava anticipazione del futuro. Non a caso a Firenze vennero celebrate, in questo senso, delle grandi cerimonie festive con musiche specificamente composte, dedicate al sopraggiungere di una “Nuova Età dell’Oro”, da intendere coeve alla Parusia con la restaurazione del Paradiso Terrestre.

Questo sfondo storico, qui solo accennato, sostiene bene le prospettive futuribili dei neo-umanisti contemporanei, tra cui si annovera pure la Global Complexity Art, con la particolare rilevanza data alla nuova concezione del “tempo creativo” di Prigogine, che promuove una revisione epistemologica di scienza e cultura, che potrebbe dischiudere l’universalità creativa di un futuro Umanesimo Globale.

 

Finestra sul mondo 3

 

Il ventaglio di approcci scientifici che compongono il concetto di Visione Globale, insieme a vari apporti provenienti dalle arti e della cultura umanistica, fornisce il materiale con cui la Global Complexity Art costruisce l'impalcatura per la creazione di una metaforica "Finestra sul mondo", a cui molte delle sue opere sono dedicate. Nel senso vivo, considerando le ripercussioni antropologiche generate dall'uso della Visone Globale, l'Arte della Complessità Globale si definisce propriamente come "l'Arte di vedere il mondo", ciò che è il titolo anche di un'altra serie di opere. Non va trascurato, infatti, che la sensibilizzazione visiva è senz’altro un aspetto dell’emancipazione antropologica, come da tempo evidenziò Marcel Proust: "Non è importante vedere nuovi paesaggi –egli scrisse- ma avere nuovi occhi". Nel mondo dell’immagine e della visibilità globale, che va dalla moda e il design alla spettacolarizzazione dell’informazione, lo sviluppo della percezione visiva insieme alla visualizzazione mentale, la facoltà visiva acquista un ruolo di crescente importanza, che spiega l’enfasi che vi pone la Global Complexity Art, ulteriormente rimarcata dall’associare simbolicamente la Visione Globale all’icona del “globo oculare”, dove la sfericità di entrambi si rispecchia nella stessa etimologica di globo. Infatti, la Global Complexity Art implica, applica e promuove, i parametri necessari per un nuovo modo di vedere, dando l’input di informazioni e stimoli per incrementare il numero di pixel percettivi affinché si spalanchino gli occhi e con essi lo spazio di una nuova apertura mentale. Questa configurazione di occhi nuovi è assolutamente necessaria per visualizzare la globalità del mondo in cui viviamo; a comprendere il mondo reale che si estende non solo nello spazio ma anche nel tempo. Per fare i conti con “La presenza del passato”, secondo il titolo di una Biennale di Paolo Portoghesi. E' come creare un ologramma mentale con l'immagine del mondo formato dall'accumulazione stratificata della sedimentazione delle permanenze del passato, che sono più massicce di quanto non si crede. Sono le tracce di avvenimenti storici, recenti e anche molto lontani nel tempo, segni di mutamenti locali, spesso legati a cambiamenti epocali, che formano una semisfera planetaria di segni con cui il tempo ha tracciato la topografia storica del territorio mondiale. È l’eredità del mondo passato, come sostrato del presente, in attesa di coordinamento con gli sviluppi della contemporaneità, con la speranza di essere proiettati nella creazione del futuro.  In questo senso il grande semiologo russo Mikhail Bachtrim ha definito il mondo "un grande cronotopo", cioè una topografia del tempo, che evolve dalle più lontane origini e si proietta -grazie alla creatività umana- nei migliori dei futuri possibili. In definitiva, la Global Complexity Art dipinge l'immagine del presente collocato tra passato e futuro, dove sono radicati sia la nostra vera identità sia la progettualità creativa autentica. Si tratta semplicemente della reale identità umana registrata nel nostro DNA, quella che si conferma nella quotidiana relazione tra sfera locale e globale, giungendo ad ammettere di essere tutti figli della Terra e membri della grande famiglia umana nonché imparentato con gli altri abitanti della Terra. Solo con questa identità allargata gli esseri umani potranno elevare la propria consapevolezza al livello adeguato per diventare cittadini del mondo, e come tali individui che sentono di avere in comune quello che Edgar Morin chiama la "Terra-Patria".

Il cappello d feltro - performance L'arte di veder il mondo

 

Per il particolare approccio interdisciplinare della Global Complexity Art, insieme alla specifica prospettiva globale in cui svolge la sua attività creativa,  si può dire che per vari aspetti prosegue la strada indicata dal grande artista tedesco Joseph Beuys. Insieme alla sua figura carismatica di shamano e di grande maestro, la sua opera complessa è considerata l'espressione artistica più alta della seconda metà del Novecento, mentre il suo insegnamento continua ad essere fondamentale per il futuro dell'arte mondiale. Secondo Mario B. Montandon "tutto il terzo millennio avrà le radici nel pensiero beuysiano". In sintesi l'opera di Beuys si basa sulle relazioni interdisciplinari tra arte e scienza per sviluppare il rapporto natura-cultura, con un approccio definibile neo-umanistico sia perché rievoca la versatilità dei geniali artisti-scienziati dell'Umanesimo rinascimentale, sia perché coinvolge ugualmente la variegata tematica dell'emancipazione umana. "E' importante -afferma Beuys- che l'umanità si emancipi verso una nuova umanità". Per quanto sia cambiato il linguaggio tra l'Umanesimo antico e il neo-umanesimo di Beuys, per entrambi l'evoluzione antropologica dell'umanità è vista in rapporto proporzionale allo sviluppo della sua creatività; una creatività -si noti bene- non da indurre ma da "liberare" in quanto facoltà innata nell'uomo. "Io cerco di portare alla luce -egli disse- la complessità delle aree creative". In tal senso Beuys carico di grande importanza la relazione arte-uomo, reclamando dallo sviluppo dei sistemi sociali lo spazio culturale ad esercitare quella che è una peculiarità dell'uomo, cioè il libero arbitrio, da Beuys indicato come presupposto irrinunciabile a liberare l'innato potenziale di creatività che è radicato nell’identità antropologica di ogni essere umano. Ciò che esprime bene il suo famoso motto "ogni uomo è un artista". Insieme alla sua visione evolutiva di un'umanità potenzialmente creativa, Beuys sviluppo il concetto di "arte allargata" indirizzato a coinvolgere l'intero spettro delle attività umane in una dinamica evolutiva che eleva il lavoro umano al livello di arte. Nulla di nuovo in assoluto se confrontato al sistema delle Arti liberali o alla relazione arte-artigianato nel Medioevo. Con la generalizzazione della creatività umana, per Beuys la prospettiva storica del suo concetto di "arte allargata" è nella progressiva incidenza sull'evoluzione creativa dell'habitat umano con cui l'intero pianeta si trasformerà in una "opera d'arte ecologica globale". Secondo Beuys è in questa prospettiva che si potrà attenuare progressivamente il contrasto cultura-natura tipica della civiltà industriale, dato che solo l’attività artistica dell’uomo è in armonia con un la natura, in quanto -secondo la concezione platonica alla base del pensiero umanistico- essa stessa sia stata creata "come un'opera d'arte". 

Per maggiori dettagli consiglio di leggere "Il cappello di feltro" di Lucrezia De Domizio Durini (Ed. Carte Segrete 1991). 

 

Performance - Viaggio shamanico nel tempo

 

La cosiddetta utopia neo-umanistica di Beuys trova qualche interessante confronto con l'umanesimo rinascimentale, specie per l'esplosione di creatività artistica che coinvolse tutto lo spettro culturale, creando un insieme mirabile di opere ed invenzioni anche esso considerato un modello utopico per il mondo del futuro. Sebbene fosse ciò che Beuys definì "utopia concreta", poiché fu in questo modello che si creò l'immaginario di fondazione e di identità della moderna cultura europea, e non solo, dato che venne ad estendersi su tutto il globo dando forma al Mondo Moderno. D'altronde non è detto che l'energia propulsiva dell'umanesimo sia giunto al suo termine, visto la sua continuità nell'esperienza di un grande artista contemporaneo come Beuys, oltre agli uomini di cultura che vedono nella epistemologia della complessità la strada verso un Umanesimo Globale. La stessa continuità vale anche per il rapporto tra creatività ed evoluzione umana, considerando che per gli umanisti rinascimentali l'arte, prodotta e/o goduta, sensibilizza e coltiva i cinque sensi, elevando così l'uomo dallo stato rozzo degli appetiti elementari. In questo contesto i sensi sono definiti le "porte dell'anima", tramite le quali l'arte raffina e purifica la psiche dalle scorie obsolete degli istinti animali, elevando le pulsioni emotive oltre la sfera riproduttiva, con cui l'anima s'illumina di universalità creativa trovando la potenziale somiglianza col Creatore. Tanto è vero che gli artisti rinascimentali, in quanto creatori universali, furono considerati più vicini al modello umano definito dalla Bibbia "ad immagine e somiglianza" del Creatore. Per questo alcuni grandi pittori del tempo si raffigurarono a somiglianza del Creatore, vedi il Perugino, Dürer, Leonardo ecc. Sotto questo profilo antropologico è proprio l'immagine visuale a trovare la sua rilevanza, poiché gli Umanisti rapportarono la creatività dell'uomo allo sviluppo dell'immaginazione, in quanto è l’attività immaginativa a creare le immagini, formando la radice di ogni creatività umana; in pieno accordo con Beuys e psicologi contemporanei. I testi rinascimentali parlano di ’"Imaginatio" simile ad un occhio interiore, come il Terzo occhio induista, che in occidente trova la sua analogia con l’iconologia dell'Occhio di Dio, anch'esso solo uno e che denota il Creatore nella cui somiglianza l'artista visuale crea le sue immagini. Infatti, l'occhio interiore dell’immaginazione, coltivato e sensibilizzato a interagire con tutti i sensi, è stato definito come un "senso comune" che s'illumina con una visione che crea le immagini della realtà invisibile che sottende alla fenomenologia superficiale delle cose: ecco la creazione umana come intermediaria della creazione divina. Non a caso, in tutte le culture tradizionali, è con le opere della creatività artistica che venne onorato il Creatore.

La mano del destino

 

Nell'associarsi agli strumenti interdisciplinari necessari per una nuova e più ampia visione spazio temporale del mondo, la Global Complexity Art vuole distinguersi dalla superficialità di molta dell'estetica postmoderna, applicandosi a delineare un immaginario artistico del mondo contemporaneo più profondo, con un maggiore spessore antropologico e storico, in modo da essere in grado a dare una continuità essenziale, e non solo in temi stilistici, alla storia mondiale dell'arte visiva. I parametri della Visione Globale, usata anche in questo caso dalla Global Complexity Art, trovano la loro applicazione più idonea nel concetto di Storia Totale.  Questo temine fu coniato negli anni '30 da uno dei maestri della ricerca storica, Fernand Braudel, che lo intese come nuovo approccio alla ricerca storica mediante la multidisciplinarietà, la Novelle Histoire. Questo approccio storico è stato ampliato in epoca più recente, e in particolare nella metodologia di ricerca dell'archeologo italo-israelano Emmanuel Anati, che aggiunse  al termine la connotazione di spazio globale e totalità della storia umana. In altre parole è stata avviata una ricerca storica globale, nello spazio e nel tempo, del tutto congruo alla Global Complexity Art. Come sempre l'approccio alla globalità richiede nuovi parametri. Una prima particolarità della Storia Totale è che non indaga tanto sulle diversità e sui fattori che hanno diviso la storia dell'umanità - imperatori, re, condottieri, religioni e connesse battaglie- mentre tende piuttosto a rilevare i comuni denominatori che sottendono all'insieme delle culture apparse sulla faccia della Terra da quando esiste l'uomo. Osservando sotto questo profilo l'insieme delle culture pre-moderne, ovvero le culture antiche e quelle "tradizionali" recenti, un primo denominatore comune è dato dal fatto che le espressioni artistiche antiche e tradizionali, sempre ed ovunque, interpretano in forma esplicita o implicita il sistema mitologico/religioso della rispettiva etnia. In altre parole, a monte della rappresentazione circostanziale, ovunque il vero soggetto della creazione artistica è stato il mito. Per intendere il significato di mito nell’arte, va chiarito che i racconti mitologici sono i segmenti di un insieme che è la rispettiva concezione cosmologica, realmente complessa ed iniziatica, di cui i singoli  episodi sono una poetica descrizione divulgativa, a cui si rifanno le rappresentazioni artistiche, spesso mescolando i temi mitici con episodi e personaggi reali. All'interno di queste strutture cosmologiche, con un cosmo immutabile nel tempo, vi è però anche una componente dinamica, che è la cosmogonia, ossia il racconto della creazione del mondo, di massima rilevanza culturale. Questa idea di creazione del mondo, che spesso è una partenogenesi e nascita dell’universo, implica la figura divina del Creatore, del demiurgo, padre e/o madre, antenati, che hanno dato inizio al tutto. Tanto è centrale il mito di "creazione" o "nascita" del cielo e della Terra che è in esso che ogni cultura tradizionale riconosce il suo particolare significato e valore in termini di discendenza, identità e rilevanza nel mondo. Questo atto divino della Creazione cosmica venne ritualmente riattualizzato in ogni importante creazione umana. Ovunque "la creazione umana imita la Creazione divina" scrisse il noto storico delle religioni Mircea Eliade.

 

La concezione

Anticamente il rispettivo modello di Creazione cosmogonica venne rappresentata simbolicamente nel rito di "fondazione-fecondazione" di ogni spazio consacrato, sia nella fondazione di città, di templi e di palazzi, come di  semplici insediamenti, capanne, ecc. In effetti questa relazione cosmologia-società richiama l'antico detto "in basso come in alto", che si ripercuote nell'analogia tra gerarchie sociali e gerarchie celesti, entrambi associati all’immagine della “montagna sacra”, che denota l’Axis Mundi tra cosmo e Terra. Così per le strutture architettoniche ed urbanistiche, dato che riflettono il cosmo celeste, le antiche città furono chiamate "specchi del cielo". La stessa omologia tra creazione cosmica e creazione umana è ampiamente contemplata in un sistema di diagrammi riconducibili al concetto di "mandala", un sistema iconologico ancora diffuso in Asia che il grande orientalista italiano Giuseppe Tucci ha definito "psico-cosmogramma". Carl Gustav Jung, che era affascinato dall’argomento, scopri la presenza di diagrammi mandalici in tutte le culture e in tutti i tempi, concludendo che fosse un “archetipo della coscienza collettiva”. In una delle sue applicazioni pratiche, in quanto rappresentazione schematica della cosmogonia, il rispettivo diagramma mandalico venne proiettato sul terreno come schema spaziale sia dei riti di fondazione sia delle piante della costruzioni da realizzare. Questa fu l’usanza in tutto il mondo e sin dai tempi più remoti; come in India i mandala presiedono tuttora alla configurazione delle arti e delle architetture tradizionali. Per un altro verso il sistema mandalico è parte dell'antica ed universale concezione della relazione analogica tra il microcosmo del corpo umano e il macrocosmo, a sua volta legata all'idea di universo vivo e animato, a cui si lega l'antica sintonia tra anima umana e Anima mundi: ecco perchè il mandala è definito “psico-cosmogramma”. In definitiva è in questa rete di interazioni complesse che si trova la logica dell'antico intento culturale di determinare una analogia tra creazione cosmica e  creazione umana; per cui Mircea Eliade potè scrivere che nelle culture antiche "l'arte umana imita l'arte divina". 

Per concludere va sottolineato che questa antica concezione di continuità tra la creatività dell'universo e la creatività umana, ritrova oggigiorno la sua attualità oggettiva nelle testimonianze scientifiche che sottendono all’Universo creativo dell’Evoluzione allargata, oltreché nella sua trasposizione in termini artistici, già annunciata da Joseph Beuys, fino a trovare ripercussione nella Global Complexity Art che, insieme alla sua proiezione in un futuro possibile, rivaluta i comuni denominatori culturali che sottendono alle arti del passato. 



Esposizione Immaginazione al potere

 

Un altro aspetto peculiare della Storia Totale è che il suo campo d'indagine retrocede nel tempo ben antecedente al formarsi delle aree storiche della "civiltà", per giungere a sondare l'immensità temporale dei territori abitati dall'umanità del Primo Evo. Con altre parole la Storia Totale include il divenire culturale dell'umanità durante le epoche che gli storici tradizionali discriminano, con apparente neutralità, come semplice Preistoria. Ugualmente la Storia Totale include i prolungamenti del Primo Evo nelle comunità arcaiche che, in numero sempre minore, hanno vissuto accanto alle evoluzioni storiche, ugualmente discriminati come "primitivi", invece di essere denominati "primari", con tutt'altra connotazione di valore. Naturalmente esiste un motivo per questa discriminazione, apparentemente trascurato dalla storiografia, derivante dal fatto che la storia antica fu scritta da culture ad espansione imperialistica, strutturalmente etnocentriche. I Romani, ad esempio, definivano i popoli tribali dei territori non-urbanizzati col termine dispregiativo di barbari, trasformando i guerrieri catturati in schiavi, utile a rifornire il loro sistema schiavistico che fu il più grande di ogni tempo. Non di meno la colonizzazione europea del mondo, sancita dal Sacro Impero Romano-Germanico, procedette mediante la “conquista” di territori appartenenti alle società arcaiche - come gli Indiani d’America, le tribù africane o australiane- ciò che venne comunemente giustificata con l’alibi della loro “primitività”. Mentre in terre islamiche vennero catturati gli abitanti della selva africana, definiti “selvaggi”, per essere trasportati da navi europee battenti bandiere cristiane, per rifornire il mercato schiavistico del Nuovo Mondo, giacché gli Indiani non poterono adattarsi al lavoro forzato, per cui vennero sterminati. Sebbene molto sia cambiato, la storia della discriminazione mondiale ha lasciato dei segni ancora non del tutto scomparsi. Rimane il peccato originale che “la storia è scritta dai vincitori”. Tanto per accennare ad alcune delle incoerenze endemiche a cui si lega una terminologia etnocentrica tuttora in vigore nella storiografia, come aspetto a cui la Storia Totale, in seno alla cultura della complessità, tende a dare un freno nell'inaugurare una storiografia universalmente condivisibile, idonea a favorire lo sviluppo di una cultura multi-etnica a livello mondiale. 

Lo Ziggurat di Ur

 

Nell'ottica della Storia Totale la barriera ideologica tra preistoria e storia inizia con l'invenzione e la diffusione del sistema sociale che oggi domina il mondo, ossia quello di carattere urbano-statale. L’origine storica del sistema urbano-statale si colloca in Mesopotamia intorno a 2,500 anni a.C. con la configurazione graduale della città-tempio di Ur, che venne ad incentrarsi sulla struttura del primo Ziggurat fatto costruire dal re Mesamepada. Questa immensa piramide a scaloni simboleggiò la “Montagna Sacra”, ossia la raffigurazione terrestre della “montagna cosmica”, che è una forma immaginativa a cono, composta dalle orbite dei pianeti sovrapposti a diametri restringenti, al cui vertice si colloca la Stella Polare immobile, con cui si denota l’Asse del Mondo, universalmente intesa come scala tra terra e cielo.  Questo modello della gerarchia cosmica, dove gli astri s’identificano con le divinità, fu anche il modello della nuova gerarchia sociale di questo stato monarchico, che, con l’innalzarsi della sua città-tempio, denotò il vertice centrale del suo regno terrestre coassiale al regno celeste.  Come scrisse Jean-Daniel Forest, uno dei principali archeologi degli scavi di Ur, lo Ziggurat fu costruita affinché sulla sua cima potesse discendere la divinità dominante del cosmo per governare il mondo, ovviamente tramite la figura sacrale del re-imperatore (Mesopotamia - L’invenzione dello stato, Ed. Jaca Book, 1996). Infatti, il primo regno urbano si evolse presto come primo modello di impero urbano-centrico; per cui in seguito, con questa impostazione i nomi di Babilonia o di Roma furono sinonimi dei loro imperi. Anzitutto la città-stato di Ur giunse a regnare su altri quattro città-stato, dando inizio al primo impero della storia, con la manifesta volontà di giungere a dominare il mondo. L’idea del “dominio universale” che, secondo le iscrizioni cuneiformi, si sviluppo tra la cultura sumerica e babilonese, è testimoniato anche dagli antichi miti sul “re del mondo”. Lo stesso ruolo, consacrato dalla rispettiva divinità cosmica, fu ereditato da tutti i re ed imperatori della storia, come risulta dal titolo latino di Rex Mundi, mentre la capitale dell’impero romano fu chiamata “caput mundi e il “Rex Imperator” definito “augusto”, cioè divino. Intorno al modello cosmologico dello Ziggurat, l’assetto statale venne diviso gerarchicamente in tre classi basilari: in alto la teocrazia, in mezzo l’esercito e, al gradino più basso, i contadini che  dovettero alimentare le altre due. Fu il passaggio dall’arcaica “economia di sussistenza” alla “economia del plus-prodotto”, di cui tutto il mondo artificiale della civiltà è il risultato.  Pari allo sviluppo del potere e del suo splendore materiale, si propagarono l’asservimento dei sudditi e la schiavitù dei vinti. Pertanto, a partire dalla prima città-stato di Ur, insieme alla metallurgia delle armi, le guerre furono una componente organica dell’evoluzione, come strumento di conquista di terre nuove insieme ad una crescente massa di schiavi, come mezzo produttivo delle ricchezze con cui gli imperi si espansero. Dal primo polo irradiante di Ur seguirono, tra altri, quelli di Babilonia, l’Egitto delle piramidi, la Persia e Roma, mentre per un altro verso furono coinvolte le zone dell’Asia dal fiume Indo al fiume Giallo, dove poi vennero erette analoghe costruzioni piramidali e con simili connotati; seguirono, più tardi e per vie ignote gli analoghi poteri piramidali dell’America Centrale. Rimane da sottolineare che storicamente furono solo i Greci ad opporsi al modello di dispotismo semidivino del modello orientale, bloccando i Persiani in eroiche battaglie, a dimostrazione della superiorità del loro modello sociale, che si basò sull’invenzione della prima democrazia urbana con cui cambiarono le sorti del mondo. Tanto è vero che l’invenzione ellenica della prima democrazia urbana rappresenta un altro denominatore comune nel patrimonio culturale della storia mondiale. 

 

 

 

 

Il particolare rilievo storico di Ur è dovuto alla sua collocazione temporale sul bivio macrostorico tra la società arcaica della preistoria e la società civilizzata della storia; ben rappresentato dall’epopea di Gilgamesh con il suo nemico-amico Enkidu, l’uomo selvaggio, corrispondente propriamente alla tipologia umana dislocata nella “selva” dei territori neolitici più arcaici che circondarono ancora largamente le aree dell’estensione urbana.  Da questa sua collocazione all’origine della storia emerge un fatto determinante per l’intera umanità, cioè che la città-stato di Ur è un grande denominatore comune della storia mondiale; é “l’ombelico del mondo” che  ha generato la storia della civiltà, coinvolgendo tutti gli esseri umani, i vincitori per un verso e gli sconfitti per un altro. Ur rappresenta il modello originario del sistema città-stato, che non è solo la forma urbana dell’abitare – già realizzata migliaia di anni prima sotto forma di “comunità proto-urbane”- ma è soprattutto la città come struttura materiale e simbolica di un crescente potere gerarchico di controllo territoriale. La storia evolutiva di questa struttura urbana del potere è in realtà il soggetto intrinseco della "storia scritta". Dato che  l’ordine urbano generato da Ur s’allaccia al concetto di civiltà, espresso anche dalla relazione etimologia tra la parola città e la parola latina "civitas" da cui deriva quella di "civiltà", è propriamente l’irreggimentazione e l’evoluzione di questo "nuovo ordine del mondo" che, in definitiva, forma la "storia della civiltà" di cui il presente è l’espressione.  L’affermazione che Ur è “l’ombelico del mondo” da cui s’irradiò l’epifania della storia mondiale, è ampiamente confermata dal fatto che questa origine ha plasmato il divenire fino ai tempi moderni con molti più elementi provenienti da Ur di quanto non si pensi. 

 

 

 

 

 

Oltre al già menzionato sistema urbano e l'istituzione dei poteri monarchici conferiti dal cielo, ripreso da tutta la storia fino alle odierne monarchie europee, vano annoverati nientemeno ché la ruota che ha generato le civiltà della macchina, oltre al primo racconto scritto su pagine di terracotta, che non è la scrittura per uso amministrativo inventato altrove, ma è un racconto mitico, “l’Epopea di Gilgamesh” che rappresnta il poema più antico del mondo. Oltrettutto queto poema contiene riferimenti alla cosmologia sumerica, il cui sorprendente livello di cognizioni formulo le più antiche concezzioni scientifiche di tempo e spazio che, sviluppatosi attraverso la storia delle civiltà di tutto il mondo, giunsero fino a nostri giorni. Infatti, ad Ur fu compilata la prima grande computazione del tempo, con il sistema sessagesimale che usiamo tuttora, dai dodici mesi del calendario alle 2 volte 12 ore del giorno, 60 minuti e 60 secondi dell'orologio. A questa misura del tempo si lega anche la suddivisione dell’orizzonte spaziale con le unità di tempo del cerchio annuale di 360 giorni proiettato sul cerchio a 360°. L’incredibile conoscenza astrologica dei Sumeri compilò anche il più grande dei fenomeni celesti, che è la  Precessione degli Equinozi, dovuta alla deviazione dell’asse terrestre rispetto al pernio della sua circolazione complessiva. Girando come una a trottole l’asse terrestre determina due coni lungo i gli opposti poli del globo, alle cui estremità l’asse disegna nel lungo tempo un cerchio sul cui percorso si trovano altre stelle come pernio di rotazione celeste. In tal modo è come se l’asse terrestre fosse la lancetta di un “orologio cosmico”, che, ad intervalli di circa 2000 anni, punta verso una successione di 12 Stelle Polari differenti intorno a cui ruota la volta celeste. L’immagine sumerica di questo meccanismo cosmico, che stranamente richiama la bandiera europea, è comprovata dalla scienza moderna. Come spiega il filosofo della scienza Giorgio de Santillana nel suo libro “Il mulino di Amleto”, anticamente l’aspetto di maggiore importanza di questo “orologio cosmico” è che ad ogni diversa Stella Polare si associa un diverso segno astrologico insieme alle caratteristiche attribuitogli, perche anche l’astrologia inizio dai Sumeri e venne ampliata dai Babilonesi. Consegue che ogni periodo di circa 2000 anni, in quanto dominato da una determinata Stella Polare associata a uno dei 12 segno zodiacali, venne interpretato come premessa cosmica per un’epoca storica con le caratteristiche del rispettivo segno astrologico. E dato che le antiche strutture sociale vennero plasmate secondo il cielo astrale, la successione delle varie epoche zodiacali venne intesa come l’ordine cosmico che modella la corrispondente irreggimentazione storica di successivi ordini mondiali. In base di quanto Santillana ha potuto documentare con i miti cosmologi di innumerevoli culture di tutto il mondo, la questione cruciale della Precessione degli Equinozi è costituita dal passaggio da un’epoca all’altra, che i miti definiscono come una drammatica “fine del mondo” seguita dalla creazione di una “nuova terra e un nuovo cielo” dominati da una “nuova stella polare”. A contare Dai tempi di Ur, che si collocò nell’epoca del Toro, venne a succedersi quella dell’Ariete e quella attuale dei Pesci che, come si esulta da molte parti, sta per essere sostituito dalla decantata Era dell’Acquario. Ciò che marca l’attualità dell’antica memoria di Ur. (Il mulino di Amleto –Saggio sul mito sulla struttura del tempo, Giorgio Santillana e Hertha von Dechend, Ed. Adelphi 1983).